Forme di allevamento
Tramite i sistemi di allevamento bisogna ottenere una superficie fogliare
esposta elevata, una ridotta densità della chioma, uno sviluppo equilibrato dei
germogli, una buona esposizione dei grappoli ed un equilibrio vegeto-produttivo
(giusto rapporto tra germogli e grappoli); la scelta della forma più idonea
dipende molto dalle condizioni ambientali in cui si opera, dal vitigno e dal
livello di meccanizzazione desiderato. Nella nostra realtà viticola sono
presenti numerose forme d’allevamento, molto differenti tra loro, le quali,
secondo la distribuzione spaziale della vegetazione, possono essere a
controspalliera, a chioma libera o a cortina, in volume e a tetto.
Le prime sono le più comuni, si suddividono in forme a tralcio rinnovato (guyot
e capovolto o archetto) ed in sistemi a cordone permanente (cordone speronato e
sylvoz).
Il guyot è una forma d’allevamento diffusa in tutta Italia, è tipica dei
terreni meno fertili e più siccitosi di collina, ove la vite presenta uno
sviluppo piuttosto contenuto, che consiste, oltre al ceppo, in un capo a frutto
di 7-8 gemme sul quale si verifica la produzione dell’anno, e, dalla parte
opposta, di uno sperone di 2 gemme che produrrà l’anno successivo.
L’impalcatura è formata da pali distanti sulla fila 5-6 m aventi un’altezza
fuori terra di 1,8 m e collegati da tre piani di fili, il primo, di diametro 18
mm a 0,8 m da terra, sostiene il capo a frutto ed il ceppo, gli altri, di
diametro 16 mm, sono doppi fili di contenimento posti rispettivamente a 0,4 e
0,5 m dal piano precedente ed hanno lo scopo di sostenere la vegetazione. I sesti
d’impianto sulla fila variano da 0,8 a 1,5 m e fra le file da 2,5 a 3 m, con
una densità compresa tra 2800 e 5000 viti/ha; il guyot ha una bassa carica di
gemme ad ettaro, variabile tra 28000 e 40000.
L’archetto si tratta di un guyot modificato, è costituito dal ceppo, sul quale
si inseriscono il capo a frutto piegato verso il basso e lo sperone; nei
terreni più fertili e con vitigni vigorosi si lasciano due tralci formando il
doppio capovolto. I pali portanti l’impalcatura hanno un’altezza fuori terra di
2-2,5 m, con distanza sulla fila di 5-6 m, il tronco arriva fino al 2° filo, di
diametro 18 mm e posto ad un’altezza di 1,5 m, sul quale vengono piegati i capi
a frutto e si legano al primo filo, avente un diametro di 16 mm e situato ad 1
m dal suolo; gli altri 3 piani di fili (doppi fili di contenimento) arrivano in
cima al palo e sono distanti 0,3-0,4 m l’uno dall’altro. I sesti d’impianto
sulla fila sono di 1,5 m e fra le file variano da 2,5 a 3 m, con una densità
media di 2500 viti/ha; il doppio capovolto ha una medio-bassa carica di
gemme/ha (intorno alle 50000). Inoltre la vegetazione non omogenea lungo il
capo a frutto, con problemi di gestione della chioma e di difformità di
maturazione delle uve.
Il cordone speronato è una forma di allevamento adatta a zone di non elevata
fertilità in cui l’ambiente pedoclimatico porta ad un contenimento della
vigoria (zone collinari in genere) oppure quando si utilizzino varietà a scarso
sviluppo vegetativo, ma che presentano una buona fertilità nelle prime gemme del
tralcio. Il sistema è costituito da un fusto verticale, all’altezza del primo
filo prosegue come cordone permanente sul quale si inseriscono dorsalmente
speroni di 2-4 gemme, opportunamente distanziati tra loro (15-20 cm).
L’impalcatura è come quella del guyot, i sesti d’impianto sulla fila sono da 1
a 1.5 m e fra le file variano da 2,5 a 3 m, con un investimento compreso tra
2200 e 4000 viti/ha; il cordone speronato ha una media carica di gemme/ha,
variabile tra 50000 e 80000.
Il sylvoz è una forma di allevamento che ha trovato diffusione negli ambienti
freddo-umidi di pianura (soprattutto in Veneto) in quanto i terreni sono
fertili nei quali le cultivar vigorose esprimono al meglio le loro potenzialità
e viene favorita la captazione della luce da parte della parte aerea con
benefici sulla fotosintesi, sul grado zuccherino del mosto e sulla
differenziazione a fiore delle gemme. Risulta formato da un tronco verticale
che, all’altezza e lungo il 2° filo, prosegue come cordone permanente sul quale
si inseriscono dorsalmente capi a frutto di 7-8 gemme, opportunamente
distanziati tra loro (15-20 cm), questi vengono piegati e legati al primo filo.
La struttura dell’impalcatura è simile al doppio capovolto, in questo caso
l’altezza del 2° filo, portante il cordone, è di 1,6-1,8 m, mentre quella del
primo, ove si legano i tralci, è di 1-1,2 m; l’altezza complessiva della
struttura raggiunge i 2,5-3 m. I sesti d’impianto sulla fila sono compresi tra
1,5 e 2,5 m, fra le file variano da 2,5 a 3 m, con un investimento compreso tra
1700 e 2500 viti/ha; il sylvoz ha una medio-alta carica di gemme/ha, variabile
tra 80000 e 120000.
In Friuli è diffusa una variante del Sylvoz, detta Casarsa, in cui i capi a
frutto sono liberi e quindi non c’è il primo filo, quindi la strutturazione è
più semplice e la gestione meno onerosa rispetto al Sylvoz in quanto i tralci
non necessitano di legature.
Tra i sistemi a chioma libera quello più importante è il G.D.C. (Geneva double
courtain), studiato da un gruppo di lavoro negli Stati Uniti al fine di
meccanizzare la potatura e la vendemmia; in Italia è frequente in
Emilia-Romagna. È costituito da un fusto verticale che ad un’altezza di 1,7 m
dal suolo prosegue con due cordoni permanenti speronati (speroni inseriti
ventralmente sul cordone) distanziati 1,4 m sul piano orizzontale. Si ottiene
la formazione di due cortine di vegetazione separate e distinte con una
migliore intercettazione luminosa, una vegetazione meno folta ed un aumento
della fertilità gemmaria; sono inoltre assenti i fili di contenimento della
vegetazione. L’impalcatura è formata da pali distanti sulla fila 6 m l’uno
dall’altro, con un’altezza di 1,8-2 m dal suolo, ad 1,6-1,7 m dal terreno sui
pali sono fissati due bracci mobili verso l’alto, lunghi 0,7 m ciascuno, per aprire
i cordoni, entrambi saranno sostenuti da un filo di diametro 20-22 mm. I sesti
d’impianto tra le file sono di 4 m con lo scopo di permettere il passaggio di
macchine vendemmiatrici, mentre sulla fila sono di 1-1,5 m con un investimento
di 1600-2500 viti/ha; il G.D.C. ha una medio-alta carica di gemme/ha, variabile
tra 80000 e 100000.
La classica forma di allevamento in volume è l’alberello, molto diffuso in
Puglia, Sicilia e Sardegna in quanto il clima è caldo-arido con scarso sviluppo
vegetativo delle viti; per questa ragione è attuabile anche ai limiti
settentrionali di coltivazione della vite. Questo sistema è formato da un ceppo
avente un’altezza di 0,3-0,4 m, sul quale si inseriscono 4 branche, ciascuna
con due speroni lunghi 2-3 gemme, è caratterizzato dall’assenza di impalcature
e non è meccanizzabile. I sesti d’impianto sono variabili tra 1 e 3 m sia tra
le file che sulla fila, con una densità di 1100-10000 viti/ha; l’alberello con
sesti 2 X 2 ha una bassa carica di gemme/ha (40000).
La principale forma d’allevamento a tetto è il tendone, impiegato in ambienti
con elevata radiazione luminosa e bassa umidità dell’aria, infatti è molto
diffuso in Abruzzo, Puglia, Campania e Sicilia e soprattutto per uve da tavola.
Il sistema è costituito da un fusto verticale, sostenuto da un palo, dal quale,
a 1,8-2 m dal suolo, i capi a frutto si dipartono ortogonalmente tra loro dando
vita ad un tendone continuo. L’impalcatura è formata da pali sporgenti 2-2,2 m
fuori dal terreno e, oltre alla vite, sostengono una rete di fili di ferro
posta ad un’altezza di 2 m; i fili che collegano i tutori hanno un diametro di
20 mm (grande rete), mentre quelli che sostengono la nuova vegetazione (piccola
rete) hanno un calibro inferiore. I sesti d’impianto formano un quadrato 2 X 2
m o 3 X 3 m, con un investimento variabile da 1100 a 2500 viti/ha; il tendone
ha una medio-alta carica di gemme, variabile tra 70000 e 100000.
Un altro sistema di allevamento a tetto è la pergola, la quale si impiega in
ambienti ad elevata fertilità o montano del centro - nord Italia (Trentino-Alto
Adige, Romagna e nel veronese). Dal tronco, ad un’altezza di 1,6-1,9 m, si
impalcano due capi a frutto di 8-12 gemme per vite. L’impalcatura è costituita
da pali, la cui sommità si collega con dei listelli in legno che formano un
tetto orizzontale (pergola veronese) o inclinato verso l’alto (pergola
trentina), coprendo i grappoli dal forte irraggiamento estivo e permettendo un
appoggio ai germogli in caso di vento. In zone collinari i sesti d’impianto
sulla fila sono compresi tra 0,8 e 1 m, fra le file variano da 3 a 4 m (in
pianura 6-8 m tra le file, sono pergole doppie), con un investimento compreso
tra 2400 e 5000 viti/ha; la carica di gemme/ha è medio-alta, tra 80000 e
120000.